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il blog di antonio d'amato

È il fallimento dei partiti. Lavoro al Sud per ripartire (intervista al Mattino del 7 febbraio 2021)

7 febbraio 2021

Intervista ad Antonio D’Amato pubblicata sul Mattino del 7 febbraio 2021


Presidente D’Amato, era questo il momento di fare esplodere la crisi di governo o certi processi politici erano ormai talmente in atto da non poter essere più gestiti?

«La crisi di governo – risponde Antonio D’Amato, già presidente di Confindustria e della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro – è conseguenza della debolezza e della precarietà che ormai da molti anni caratterizza il sistema politico italiano. Non a caso, una delle preoccupazioni emerse in questi giorni nell’attuale maggioranza parlamentare era che se si fosse andati al voto, le elezioni avrebbero determinato una maggioranza diversa. La crisi di governo quindi è esplosa in tutta la sua evidenza e contraddittorietà proprio quando si è trattato di affrontare e risolvere le emergenze e le grandi sfide che abbiamo davanti a noi e, al tempo stesso, superare i ritardi strutturali del nostro Paese. La crisi era dunque un percorso inevitabile che per fortuna sembra trovare una via di soluzione attraverso una figura come quella di Mario Draghi indicata dal presidente della Repubblica Mattarella. Una delle personalità più significative del Paese, di provata competenza, di grande rigore istituzionale riconosciuta e rispettata in tutto il mondo».

Draghi farà bene prima al Paese o prima alla politica?
«All’Italia, sicuramente. Tutto questo dibattito su governo tecnico o governo politico non ha alcun senso. Occorre un governo di alto profilo, capace di affrontare e risolvere contraddizioni e ritardi del Paese che durano da troppo tempo».

Alto profilo vuol dire metà politico e metà tecnico?
«Vuol dire governo di alta qualità, fatto di persone competenti e capaci, che abbiano il giusto senso istituzionale e di responsabilità, per poter cogliere anche le opportunità che abbiamo davanti e che non possiamo permetterci di perdere. Negli ultimi venti annidi storia italiana più volte abbiamo perso l’appuntamento con la modernizzazione del nostro Paese. Diverse sono le ragioni per le quali ciò si è verificato. Assenza di coraggio e di cultura riformista, carenza di capacità e competenze, litigiosità all’interno delle stesse coalizioni di governo, mancanza di una visione condivisa sulle scelte da fare. Per completare il quadro, la costante del peso del nostro debito pubblico, dunque, l’assenza di risorse necessarie per rendere più agevole la strada delle riforme. Oggi siamo difronte a una situazione completamente diversa. È drammaticamente chiaro a tutti che sono necessarie trasformazioni significative, riforme vere da realizzarsi in tempi molto rapidi. Oltre la cogenza dell’emergenza imposta dalla crisi abbiamo però risorse in abbondanza come mai nel passato. È un momento di straordinaria gravità ma anche di grande opportunità che non possiamo perdere anche per non rinunciare a svolgere un ruolo da protagonisti per la crescita dell’Italia e del ruolo dell’Italia in Europa».

Seduti attorno allo stesso tavolo partiti e movimenti che non sembrano essere per così dire inclini ad accordi trasversali, a cominciare dalle riforme: come farà Draghi?
«In una fase così critica della storia dell’Italia e della vita degli italiani, bisogna saper mettere da parte gli interessi personali e di partito e fare ricorso al senso di responsabilità e all’amore per il Paese. L’assoluta priorità dev’essere quella dell’interesse nazionale verso il quale far convergere le migliori competenze e risorse di cui l’Italia non è priva».

Lei consiglierebbe a Draghi di rivolgersi anche al mondo delle imprese per formarle a sua squadra di governo?
«Il professor Draghi non ha bisogno di consigli. Tutti dobbiamo contribuire a spegnere l’incendio che rischia di bruciare anche la speranza di futuro del Paese».

Riforme, lei che da sempre le ha indicate come una priorità assoluta da dove partirebbe?
«Non è un caso che la crisi della precedente maggioranza di governo sia esplosa proprio sul nodo delle riforme. Innanzitutto chiariamo un punto fondamentale: le riforme non vanno fatte solo perché l’Europa le impone come condizione necessaria per ottenere l’approvazione del Piano Next Generation Eu. Vanno fatte perché sono indispensabili per rimettere in moto la crescita del Paese e garantirne la stabilità economica e sociale, attivando gli indispensabili investimenti pubblici e rendendo possibili quelli privati. Cinque le riforme prioritarie. La riforma del Titolo V della Costituzione, per eliminare i poteri di veto e le paralisi che ingessano l’Italia; la riforma della Giustizia penale, civile e amministrativa; la riforma della Pubblica amministrazione; la riforma fiscale e quella del mercato del lavoro».

Quale deve essere l’obiettivo fondamentale del Recovery Plan?
«Ridare competitività al Paese, aprire una nuova stagione di crescita e di sviluppo, rilanciare con forza l’occupazione e superare le disuguaglianze e i divari generazionali e territoriali. E in prospettiva riequilibrare il rapporto tra debito pubblico e pil».

E come riuscirci?
«Facendo in modo che l’Italia superi, tutta insieme, il 70% del tasso di occupazione della popolazione attiva. Per riuscirci non c’è altra strada che far crescere il tasso di occupazione del Mezzogiorno di almeno 1,5 punti all’anno per i prossimi 10 anni. Questo vuol dire una fortissima focalizzazione degli investimenti, in termini di maggiore competitività e di capacità di creare lavoro e occupazione, sul Mezzogiorno. Il Nord ha già raggiunto per fortuna un tasso di occupazione superiore al 73% e livelli di saturazione della sua capacità di sviluppo molto elevati: l’area che dev’essere recuperata a questi tassi di occupazione è dunque proprio il Mezzogiorno che negli ultimi 20 anni è stato “cancellato” dall’agenda di governo».

Il governo uscente, con molti ministri meridionali, ha indicato una strada, lasciato una traccia per il rilancio del Mezzogiorno o bisogna ripartire da zero o quasi?
«Spero che la questione del Mezzogiorno non sia più percepita come un problema solo dei meridionali: il riequilibrio del Mezzogiorno rimane decisivo per far crescere il Paese non solo in termini di competitività economica, ma anche sul piano della coesione sociale e della tenuta democratica. Dunque, qualunque sia la geografia del possibile governo Draghi, la questione del Mezzogiorno è la questione del Paese. II merito dell’esecutivo uscente è stato quello di essersi reso conto che fosse necessario impegnarsi sulle politiche di rilancio del Sud con un’assunzione di consapevolezza e di responsabilità che deve continuare e deve tradursi in una coerente politica industriale e di sviluppo tale da avviare la crescita dell’occupazione indispensabile per mettere in sicurezza nei prossimi dieci anni i conti del Paese. Per ricostruire l’Italia bisogna ripartire da Sud».

La crisi di governo in Italia nel momento in cui molte cose stanno cambiando anche all’estero e non solo per effetto della pandemia: che ruolo dovrà riuscire a ritagliarsi l’Italia?
«È vero, la crisi sociale ed economica che stiamo vivendo è la più grave dal secondo dopoguerra. È una crisi globale che si sovrappone ad un quadro degli equilibri mondiali in cui tutto è in discussione sia sul piano geopolitico, sia su quello delle trasformazioni economiche e delle innovazioni tecnologiche. La scelta del Presidente della Repubblica di affidare a Mario Draghi questo mandato esplorativo riflette la perfetta consapevolezza della delicatezza e della criticità che l’Italia e l’Europa hanno davanti. Vedere che oggi negli atteggiamenti dei cittadini, superati lo sconcerto e la sorpresa per ciò che sta accadendo nel sistema dei partiti, sia cresciuta la consapevolezza che bisogna dare maggiore consenso possibile al lavoro di Draghi, mi sembra un segnale importante. Ma l’agenda è stretta non solo per l’Italia».

Che vuol dire, presidente?
«L’Italia oggi guida il G20 e questo semestre cade in un momento di cambiamenti e di trasformazioni assai significativi a livello globale. C’è uno scontro molto forte per il controllo del potere e delle sfere di influenza. Gli Usa hanno una nuova amministrazione. La Cina conferma la sua ambizione egemonica e imperialista, non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista militare e politico. L’instabilità nel Mediterraneo cresce e la Russia vive una fase di forte tensione con l’Europa. Quest’ultima è alle prese con un processo di evoluzione politica.

 

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