Come imprenditori sappiamo che l’Italia ha la forza per competere nel mondo e crediamo che si possano elaborare modelli per continuare a scrivere il futuro. Come Cavalieri del Lavoro abbiamo organizzato, lo scorso 30 marzo, un workshop centrato sul tema “Conoscere per competere” a Matera. E abbiamo scelto Matera non a caso. Cultura, gusto, istinto per la bellezza, capacità manifatturiera, saperi artigiani e eccellenze tecnologiche rappresentano quel che ha reso grande il sistema Italia nel mondo e tutto questo, ora, deve essere ripensato alla luce del passaggio da un’economia dell’industria pesante e a un’economia dell’industria pensante. Ma per farlo occorre un progetto credibile, serve tornare a investire su stessi puntando su formazione e riforme che liberino il potenziale produttivo del Paese. Questo significa lavorare sulla reputazione dell’Italia, che è il più grande valore su cui possiamo contare.
Abbiamo l’urgenza di tornare a ragionare sulla competitività del sistema paese. L’Italia sconta un 20 per cento di price positioning per la sua scarsa credibilità. Questo ha effetti concretissimi, non c’è vino italiano che per esempio possa essere venduto al prezzo di un medio vino francese. Il made in France vale di più, così come in altri settori conta e costa di più il made in Germany e in Switzerland. Prodotti italiani di pari qualità vengono inficiati dalla scarsa credibilità del sistema. E da cosa dipende la credibilità del Paese? Dalla diplomazia economica, dal modo in cui governiamo le città, dalla cura del nostro patrimonio artistico e urbano, dalla qualità della nostra pubblica amministrazione. Sotto tutti questi aspetti il Paese da decenni non investe più su se stesso e quindi non è più competitivo.
E qui occorre domandarsi che cosa significhi competere. Noi nasciamo con l’angoscia di fallire. Chi vive d’impresa lo sa bene: Competo ergo sum. E chi come noi si mette in gioco su scala globale andrebbe tutelato, e invece scontiamo una costante perdita di reputazione. Pensiamo ai recenti accordi con la Cina. Che immagine daremmo dell’Italia se un prossimo governo, tra qualche anno, decidesse di cancellarli? Eppure è quello che noi rischiamo di fare sulla Tav, perché noi un accordo con la Francia e con l’Europa lo abbiamo sottoscritto. La Tav non è un problema del Piemonte, è un problema che riguarda l’Italia e la sua reputazione.
Oggi i principali osservatori economici mettono in dubbio la sostenibilità delle recenti misure di Governo cosiddette keynesiane. Ma lo sono davvero? Keynes sosteneva la necessità sostegni pubblici alle infrastrutture, quello che vediamo è allora all’opposto delle politiche neokeynesiane. Il reddito di cittadinanza non sposta di un millimetro il potenziale infrastrutturale né materiale né immateriale del Paese. Siamo a politiche paleo-assistenziali. Noi dobbiamo rendere il mercato del lavoro libero, dobbiamo rendere i lavoratori in grado di puntare su se stessi. Siamo qui per mostrare che si può lavorare su infrastrutture che non solo pesano, ma su infrastrutture che pensano.
Sintesi dell’intervento conclusivo del workshop “Conoscere per competere” | Matera 30 marzo 2019