Sono veramente fiero di rappresentare qui oggi quegli imprenditori che, alla guida di imprese di successo, operano sui mercati internazionali affermando nel mondo le capacità, il lavoro, la creatività e l’orgoglio italiano. Dobbiamo, tuttavia, essere tutti consapevoli che non basta l’operosità e la capacità di rischio e di intrapresa dei singoli. Occorre uno sforzo collettivo del Paese nel creare le condizioni indispensabili per rilanciare in maniera significativa gli investimenti pubblici e privati, i soli che possano creare vera e buona occupazione.
Gli imprenditori che non investono e non sanno competere sono destinati al fallimento. Così come un Paese che non investe su se stesso e non sa competere è condannato a una recessione continua che genera disuguaglianze, disoccupazione ed emarginazione.
L’Italia negli ultimi dieci anni si è fortemente impoverita, ma è da ben prima che accumuliamo ritardi di competitività e non riusciamo a realizzare quelle riforme strutturali di cui parliamo da troppo tempo e che sono indispensabili per rimettere in moto il Paese.
La rappresentazione più cruda di questa condizione è la persistente assenza di investimenti esteri diretti volti alla costituzione di nuove realtà produttive e quindi di nuova occupazione. Al contrario, troppo spesso, prestigiosi marchi italiani vengono acquistati e poi i centri decisionali, i nuovi investimenti o addirittura le stesse fasi produttive vengono delocalizzate in paesi più competitivi.
Le precondizioni per rimettere in moto gli investimenti privati sono la credibilità del Paese a livello internazionale e la competitività. Credibilità e competitività si conquistano solo con un ampio programma di riforme e significativi investimenti pubblici produttivi che nulla hanno a che fare con interventi assistenziali che non possono esaurire l’azione di governo. Interventi che non solo non risolvono le legittime istanze sociali, ma sottraggono risorse pubbliche alle indispensabili emergenze di bonifica ambientale, di risanamento idrogeologico, di riqualificazione delle nostre aree urbane, di potenziamento dell’ormai inadeguato sistema infrastrutturale.
Per non parlare della assoluta necessità di riprendere a investire in formazione, education, cultura, ricerca, innovazione. Senza tutto ciò, non solo la base produttiva del Paese non crescerà, ma continuerà a contrarsi e gli stessi interventi di politica sociale rischieranno di trasformarsi in interventi del tutto illusori e transitori. Non si può fare equità e solidarietà senza prima creare sviluppo e ricchezza.
La contraddizione che stiamo vivendo è duplice. Da un lato distribuiamo risorse che non abbiamo. E dall’altro, dando priorità a interventi di sostegno sociale rispetto agli investimenti pubblici produttivi, in un contesto a risorse finite, rinunciamo a creare da subito posti di lavoro veri e sostenibili.
Questo testo è uno stralcio del discorso tenuto al Quirinale
in occasione il 1° maggio in occasione della Festa del Lavoro