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il blog di antonio d'amato

Economia e diritti, fuori dall’Europa condannati alla marginalità

4 maggio 2019
Antonio D'Amato discorso al Quirinale 1 maggio 2019

L’equità è premessa inaggirabile di una società giusta e, proprio per questo, obiettivo fondamentale di chi ha responsabilità di governo deve essere quello di favorire lo sviluppo. Non si può, infatti, fare equità e solidarietà senza prima creare sviluppo e ricchezza. Per questo penso che la contraddizione che stiamo vivendo sia duplice. Da un lato distribuiamo risorse che non abbiamo. E dall’altro, dando priorità a interventi di sostegno sociale rispetto agli investimenti pubblici produttivi, in un contesto a risorse finite, rinunciamo a creare da subito posti di lavoro veri e sostenibili.

Oggi la competizione è tra continenti

Il dibattito politico cui assistiamo quotidianamente nel nostro Paese sembra non registrare sufficiente consapevolezza della partita che oggi è in gioco nell’economia mondiale. La portata della competizione non è più solo tra regioni e né solo tra sistemi-paese ma è tra continenti. Alle forti e crescenti tensioni geopolitiche che contraddistinguono lo scenario mondiale, si sovrappone in maniera sempre più prepotente lo scontro per il controllo dell’economia globale. In questo contesto nessun paese da solo può reggere il confronto. Solo un’Europa più competitiva, più forte e più unita può contribuire all’affermazione dei suoi valori fondanti: la difesa del pianeta, la pace tra le nazioni, il benessere tra i popoli.

Fuori dall’Europa condannati alla marginalità

L’Italia, come ha sottolineato il Presidente della repubblica Sergio Mattarella nel corso del suo intervento, deve essere un convinto protagonista della costruzione di questa Europa. In un passaggio particolarmente significativo, il Presidente della Repubblica afferma: “La società moderna deve molto alla crescita del mondo del lavoro. Una crescita di civiltà, non soltanto di ricchezza. I diritti del lavoro, sorti nella contrattazione, sono divenuti diritti universali e hanno plasmato un modello di Stato sociale che, via via, ha rafforzato le misure generali per l’assistenza, il bisogno, la malattia, la vecchiaia. Questo sistema di diritti, che mette al centro la persona, si chiama Europa“. “Ma – continua il Presidente Mattarella – se l’Unione è nata grazie all’apporto degli Stati nazionali, adesso soltanto la forza unitaria del Continente può assicurare la difesa di quei principi, di quei caposaldi dell’ordinamento, di fronte all’incalzare della competizione globale. I singoli Paesi che ne sono membri rappresentano un ambito troppo fragile per poter difendere efficacemente il lavoro e i diritti. L’Europa, invece, ha la dimensione, la storia e la cultura, per contribuire a un nuovo modello di sviluppo. Un modello più sostenibile sul piano ambientale come su quello della giustizia sociale”.

Se, dunque, non invertiamo rapidamente la rotta, sappiamo già a quale destino saremo condannati. Continueremo a diventare sempre più marginali, più divisi, più poveri. Non è questo il futuro che noi vogliamo per noi stessi e per i nostri figli.  Quegli imprenditori che pur potendo andare nel mondo, dove già operano, continuano a restare in Italia lo fanno perché credono nel nostro Paese. Ma ognuno è artefice del proprio destino. Ciò vale non solo per gli individui ma anche per le comunità.

Ceti dirigenti si assumano responsabilità

Mai come in questo momento i ceti dirigenti del Paese devono assumersi le proprie responsabilità e devono essere impegnati nel superare le egoistiche convenienze del breve momento. Dobbiamo saper costruire il nostro futuro mettendo in campo non solo idee e progetti, ma anche avendo il coraggio di fare le scelte necessarie. Dobbiamo sapere testimoniare con l’esempio il nostro impegno nel costruire un’Italia migliore. E dobbiamo farlo, facendo forza sulle nostre capacità e sulle nostre possibilità ma, al tempo stesso, consapevoli dei rischi che abbiamo di fronte.