Qui il testo della mia intervista a Nando Santonastaso pubblicata sul Mattino del 26 settembre 2019
Solo un’Italia “autorevole, credibile e unita” può rilanciare il progetto europeo, avverte Antonio D’Amato, presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro che sabato prossimo a Napoli, presente il Capo dello Stato Sergio Mattarella, dedica il convegno annuale al tema delle radici, delle ragioni e del futuro dell’Europa. Ma serve realizzare riforme sempre più indifferibili, e soprattutto la “piena e condivisa integrazione del Mezzogiorno, mortificato oltre misura negli ultimi 15 anni”, spiega l’ex presidente di Confindustria.
Da qui anche la scelta della sua Napoli come sede dell’evento, presidente?
«Napoli è una città autenticamente europea. La sua storia millenaria è sempre stata legata strettamente all’Europa, nel segno di una continuità che è anche e soprattutto culturale. Ma Napoli è anche il simbolo di un Mezzogiorno che all’inizio degli anni Duemila aveva iniziato un percorso di avvicinamento agli standard medi europei e che poi è stato costretto e, al tempo stesso, si è relegato nella più assoluta paralisi, fino al gravissimo ritardo di oggi. Immaginare, però, che solo un pezzo dell’Italia possa diventare europeo senza che tutto il Paese unito partecipi a questo processo non ha alcun senso».
Sarà questo il compito più faticoso che attende il nuovo governo?
«Tutti i Cavalieri del Lavoro sono concordi nel ritenere che l’unità del Paese non possa essere messa in discussione. Gli anni di piombo, caratterizzati da forti conflitti ideologici, sono alle nostre spalle. Scomparse le ideologie, si sono smarriti anche valori e ideali. In questo contesto, l’indebolimento del ceto medio, che è la vera spina dorsale della democrazia, fa emergere sempre di più egoismi e intolleranze. Questo non è solo un problema nazionale. E’ la crisi che stanno vivendo tutte le grandi democrazie occidentali».
Il nostro è quindi un Paese di muri e di populismi?
«La rincorsa dei localismi e degli egoismi di provincia rappresenta un serio pericolo sia per l’Italia, sia per l’Europa che vogliamo costruire. Il nuovo governo dovrà rilanciare la competitività del sistema-Paese, rimettere in moto un serio percorso di sviluppo indispensabile per creare le risorse necessarie per investire in equità, inclusione e opportunità per i più svantaggiati. E lo dovrà fare in questo ordine».
A cosa pensa quando parla del ruolo dell’Italia in Europa?
«L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Europa. Per la nostra storia, per la nostra cultura, per il nostro peso economico e industriale, abbiamo un ruolo fondamentale da svolgere nella costruzione di un’Europa più unita sul piano politico, più integrata sul piano istituzionale e più competitiva su quello economico. Uscendo dalle vecchie contrapposizioni tra euro-ottimisti a tutti i costi o sovranisti dell’ultim’ora, superando complessi di inferiorità da un lato o arroganze dall’altra, dobbiamo saper riaprire un percorso politico e istituzionale che porti fuori dal guado, pericoloso, la costruzione della casa comune europea. E dobbiamo farlo dimostrando che sappiamo essere un paese cresce, che compete e che vive i valori fondanti della cultura europea».
E quindi da dove partiamo?
«Dobbiamo rilanciare gli investimenti, pubblici e privati. Dobbiamo fare, e in fretta, quelle riforme indispensabili per rendere competitivo il nostro paese, per attrarre investimenti anziché farli fuggire. Ci siamo mai chiesti perché i capitali stranieri non vengono più da noi e preferiscono altri paesi? Perché anziché costruire fabbriche e ampliare la base produttiva si limitano, se va bene, a rilevare marchi di successo? Nonostante l’Italia sia un paese ricco di imprenditori e ancora con una grande vocazione industriale, non siamo competitivi e continuiamo a non realizzare le riforme necessarie per esserlo a livello internazionale.
È un suo ricorrente cavallo di battaglia.
«Continuo a pensare che per il nostro Paese sia indispensabile procedere lungo questa strada: dall’adeguamento infrastrutturale alle bonifiche ambientali per la tutela del territorio, da una maggiore flessibilità del mercato del lavoro ad una giustizia efficiente e veloce, dalla modernizzazione della Pubblica amministrazione ad un fisco meno oppressivo e più trasparente. Ma il vero punto di partenza è un altro». Quale, presidente? «L’investimento sulla formazione dei giovani e sulla cultura. L’education è sempre stata un’assoluta priorità del Paese ma da troppi anni viene indebolita e compromessa da mini-riforme e riformicchie. Con conseguenze drammatiche. Perché un Paese che mortifica le sue città d’arte per incuria e mancanza di manutenzione e costringe i suoi giovani, dopo averli formati, ad emigrare, è un Paese che deprime la sua credibilità. E danneggia anche le imprese».
E il Mezzogiorno, soprattutto.
«Assolutamente. Eppure, grandi potenzialità di sviluppo del Paese sono in quest’area. Prenda ad esempio le grandi difficoltà che incontriamo in più parti d’Italia e all’estero nel reperire manodopera, non solo qualificata. Avere a disposizione nel Sud un grande bacino di giovani, spesso dotati di un livello di preparazione elevato, rappresenta un’opportunità da cogliere, un vero vantaggio competitivo».
Ma da dove si riparte? Dalla proposta del presidente Mattarella all’Europa di rivedere ad esempio i Patto di stabilità?
«Certo. Rigore e crescita non sono in contraddizione tra di loro. Quanto più saremo rigorosi sui conti pubblici, tanto più potremo chiedere e ottenere maggiore flessibilità per gli investimenti strutturali. Il vero problema è che l’Italia da troppi anni non investe su se stessa e non cresce. Ma se l’Unione deve superare la logica ragionieristica del rapporto Pil-debito pubblico, l’Italia deve recuperare autorevolezza e credibilità». L’Europa è ancora una scelta irrinunciabile? «L’Europa intanto è la dimensione indispensabile alla quale noi dobbiamo guardare».
La convince questa svolta ambientalista della nuova Commissione? Avrà sempre meno peso l’industria nello sviluppo del continente?
«La tutela dell’ambiente è assolutamente necessaria. La sostenibilità del pianeta è una priorità indiscutibile di tutti noi, di ciascuno di noi. Non c’è alcuna contrapposizione con lo sviluppo economico. Anzi, solo la tecnologia e le risorse economiche generate da un’Europa che compete e che cresce possono garantire gli investimenti in energia pulita, economia circolare, protezione dell’ambiente».
Basterà l’Europa più green a resistere ai grandi players dell’economia mondiale?
«L’Europa non avrà alcuna chance se rimarrà divisa. Può al contrario essere decisiva nel riequilibrare un sistema di sostenibilità globale perché rappresenta il più grande mercato del mondo e l’area nella quale per storia, cultura e capacità di creare benessere sociale non ha rivali. Oggi siamo di fronte sul piano internazionale ad uno scontro di civiltà che si può superare se accettiamo gli altri e nel contempo riconosciamo noi stessi. La capacità di includere è la migliore garanzia per la pace: negare le radici giudaico-cristiane dell’Europa non aiuta, specie in un mondo sempre più confuso e teso nel quale le ombre lunghe e scure del protezionismo, del razzismo e dell’intolleranza sociale si stendono ancora in maniera preoccupante. Equità, solidarietà, tutela dei diritti sostenibilità ambientale devono diventare i veri pilastri del nuovo equilibrio mondiale».