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il blog di antonio d'amato

Riforme subito per far ripartire il Paese – Intervista al Sole 24 Ore (20 ottobre 2020)

20 ottobre 2020

Dodici mesi, al massimo  diciotto. «È il tempo massimo entro il quale dobbiamo saper realizzare le riforme strutturali necessarie per affrontare e superare la gravissima crisi che stiamo vivendo e ricostruire l’Italia. I bonus e gli interventi a pioggia possono tamponare l’emergenza ma non rimettono in moto il Paese che deve recuperare decenni di ritardi e di bassa crescita».

Antonio D’Amato parla dal suo stabilimento di Napoli. La realtà del Sud la conosce bene: «Far ripartire il Mezzogiorno non è solo un’opportunità, è una necessità assoluta per l’intero paese. E l’unica strada solida è attrarre investimenti, creando condizioni competitive sul territorio. Il governo ha annunciato che nella legge di bilancio ci sarà una decontribuzione per le assunzioni e per il costo del lavoro: per funzionare deve essere un intervento strutturale, per dieci anni, tre non sono sufficienti».

C’è una parola chiave nel ragionamento dell’ex presidente di Confindustria: investimenti, pubblici e privati. Quello che ha in mente è una politica neo-keynesiana: «Ma non per scavare buche e riempirle! L’Italia sta cadendo a pezzi, le infrastrutture, da Nord a Sud, sono vecchie, insufficienti, ci sono emergenze ambientali, di dissesto idrogeologico, servono investimenti nella sanità e nell’education. Vanno fatti partire al più presto i cantieri, che possono immediatamente rimettere in moto il motore della crescita e essere un’occasione di lavoro per quanti inevitabilmente resteranno fuori dal mercato nei prossimi mesi, quando le aziende saranno costrette a riorganizzarsi a causa dell’impatto economico della pandemia».

La manovra, per quanto se ne sappia finora, ha cominciato a dare risposte?
Il governo, il paese, noi tutti siamo di nuovo a misurarci con l’emergenza generata dalla nuova ondata Covid. Ma nel mentre la fronteggiamo, dobbiamo anche immediatamente fare scelte politiche e riforme incisive affinché le ingenti risorse disponibili non vengano disperse in mille rivoli. Bisogna dare atto al governo di aver agito bene in Europa per avere i fondi del piano Next Generation Ue. Ma ora i soldi vanno spesi bene. Sembra proprio che non ci sia ancora una visione consapevole e condivisa nel paese dell’Italia che vogliamo ricostruire.

In che senso presidente D’Amato?
Se l’Italia che vogliamo è un paese con un tasso di occupazione superiore al 70%, capace di crescere e competere e superare i propri squilibri sociali e territoriali; se l’Italia che vogliamo è un paese che sappia valorizzare il suo ambiente, il suo patrimonio di arte e di cultura e le sue città piccole e grandi; se l’Italia che vogliamo è una realtà che sul piano della politica internazionale possa contribuire da protagonista a un ruolo più consapevole e più responsabile dell’Europa nel mondo; se questa è la visione dell’Italia che vogliamo realizzare, mentre fronteggiamo l’emergenza dobbiamo far partire al tempo stesso riforme strutturali, investimenti pubblici e investimenti privati con una fortissima focalizzazione anche sulle politiche per il Mezzogiorno.

Per il Sud, bonus assunzioni, taglio ai contributi a carico delle imprese per tre anni. Sul blocco dei licenziamenti bisogna ancora decidere. Le opere prioritarie da sbloccare attendono ancora i commissari. Riforma fiscale nel 2022: troppa incertezza?
L’assenza di un programma organico, di un progetto-paese determina incertezze e precarietà. Per sbloccare le opere infrastrutturali stiamo pensando nuovamente ai commissari. C’è l’emergenza, dobbiamo reggere la botta d’urto. Ma come pensiamo di non affrontare il tema ineludibile della riforma del Titolo V della Costituzione e l’eliminazione di quei vincoli e quei veti che si sono moltiplicati negli ultimi decenni paralizzando il paese? Analogamente, come si può dare certezza agli investitori senza una riforma della giustizia civile, penale e amministrativa? E come attrarre gli investitori senza una riforma fiscale non solo competitiva ed equa, ma soprattutto in grado di dare certezze? E come recuperare produttività e competitività senza completare la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali? Tutte queste riforme sono note e antiche. Il nostro sistema politico e istituzionale non è stato in grado di realizzarle nel corso degli ultimi vent’anni. Ciascuna di queste riforme mancate è un ostacolo fondamentale al cantiere della ricostruzione dell’Italia. Ora non c’è più tempo. Occorre un serio programma di marcia su questo fronte.

Se non riparte il Sud, non riparte il paese…
I numeri parlano da soli: al Nord il tasso di occupazione è al 76% circa e dunque la crescita non può che essere marginale. Nel Sud siamo al 43 per cento. È nel Mezzogiorno che c’è spazio per una crescita consistente. Se non parte il Sud non cresce l’Italia. II tasso di occupazione italiano stenta a raggiungere il 58%contro la media europea del 73%. Diamoci  l’obiettivo di aumentare di 15 punti il tasso di occupazione del Mezzogiorno nei prossimi 10 anni. Solo così possiamo riequilibrare il rapporto debito pubblico/Pil e affrontare seriamente l’emergenza pensionistica.

I dati sull’occupazione sono preoccupanti, si rischia l’emergenza sociale. Il blocco dei licenziamenti va superato? È di fatto un blocco assunzioni, come lo ha definito il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi?
La pandemia sta cambiando radicalmente il modo di produrre, distribuire e di consumare. Molte delle imprese manifatturiere e dei servizi saranno costrette a riorganizzarsi e ristrutturarsi per sopravvivere. Il blocco dei licenziamenti sta posticipando ciò che sarà inevitabile. Proprio per questo, per evitare l’emergenza sociale è indispensabile mettere subito in moto gli investimenti pubblici che possono, nel creare occupazione, assorbire gli eventuali esuberi che potranno generarsi di qui a qualche mese.

Devono ripartire anche gli investimenti privati, ma intanto aumenta il risparmio. Problema di fiducia?
Gli investimenti privati devono ripartire, ma inevitabilmente sarà un processo più lento rispetto a quanto potrebbero esserlo quelli pubblici. È stato un errore abbandonare Industria 4.o, ora bisogna puntare in modo consistente sul piano Transizione 4.0. Tra Recovery Fund, fondo Sure e la prossima programmazione settennale I soldi ci sono. Occasione storica da non sprecare? Occasione ma anche grande responsabilità. Per tutti, governo, forze politiche, parti sociali. Imprenditori compresi. Noi sappiamo ciò che occorre alle nostre imprese per competere e per crescere. Lo dimostra il fatto che siamo il secondo paese industriale d’Europa. Vogliamo e dobbiamo saper essere in prima fila nel proporre e concorrere a realizzare l’Italia che vogliamo e di cui abbiamo bisogno.

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