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il blog di antonio d'amato

Sovranismi dietro l’angolo
Un’Europa forte è garanzia per tutti

1 ottobre 2019

Proprio ora che molte delle sue fragilità presentano il conto, c’è bisogno di più Europa. Ma di un’Europa diversa: unita, competitiva, perno della prosperità e della pace globale. L’ho detto più di una volta e, sabato scorso 28 settembre nel Teatrino di Corte di Palazzo Reale, ho avuto l’onore di ribadirlo al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Convegno nazionale dei Cavalieri del Lavoro è stato omaggiato per la prima volta dalla presenza del Capo dello Stato, una ragione in più per essere fieri di quello che noi Cavalieri del Lavoro rappresentiamo e, vieppiù, per avvertire la responsabilità di quello che possiamo e dobbiamo fare per migliorare questo nostro Paese.

Europa dimensione minima per contare nel mondo globalizzato

Abbiamo deciso di ragionare sull’Europa, sulle sue radici e sulle sue ragioni perché la casa comune europea è la premessa di ogni futuro possibile. L’Europa è la dimensione minima indispensabile per poter contare nei tavoli in cui si decidono le sorti del pianeta, ed è anche l’unica garanzia per tenere in equilibrio spinte competitive che rischiano di non fare prigionieri. Anche se le sirene dei localismi e dei sovranismi sembrano aver affievolito il loro canto, i pericoli tracciati da arroganti quanto velleitari egoismi sono dietro l’angolo e bisogna lavorare molto e bene affinché possano dirsi superati.

Bisogna lavorare per un’Europa forte perché è essa è una condizione di equilibrio per tutti. Un’unione salda è la premessa per favorire e tutelare benessere e conquiste sociali indispensabili al ceto medio, autentica garanzia del funzionamento democratico. Quando soffre il ceto medio nascono le ombre pericolose dei razzismi e delle intolleranze. E, quando ciò accade, anche quello che ora ci sembra scontato, come la pace, viene messo a rischio.

Manifattura e intelligenza due facce della stessa medaglia

Bisogna lavorare per superare le fragilità di una comunità nata troppo in fretta. Penso per esempio al facile ottimismo di chi riteneva che bastasse battere una moneta unica per realizzare un nuovo soggetto politico. All’epoca, da presidente di Confindustria, mi permisi di denunciarlo ma nella dialettica manichea che animava allora come pure continua ad animare adesso la discussione tra euroscettici ed euroentusiasti fui considerato un critico del processo unitario. Niente di più sbagliato. Ma le ragioni di questa fragilità sono molte.

Nel momento della costruzione dell’Europa unita abbiamo smarrito la strada anche perché si è pensato, equivocando, che esternalizzare la nostra manifattura potesse essere una soluzione per aumentare la nostra competitività. Pensare di affidarsi all’outsourcing con la presunzione di tenere qui intelligenze e ricerche è invece una pura illusione. Manifattura e intelligenza si tengono insieme, sono due facce della stessa medaglia. Saper fare le cose significa saperle pensare ed è per questo che serve quanto prima mettere in moto delle riforme per rilanciare l’industria e la manifattura. È così che si recupera competitività.

Si dice spesso che cosa possa fare l’Europa per il nostro Paese, io penso che il nostro Paese, da fondatore qual è del progetto europeo, possa e debba fare molto per l’Europa. Ma può farlo solo se affronta con autorevolezza le politiche di flessibilità che l’Europa proprio in questa fase sta mostrando di voler ripensare. Esse sono utili solo se unite a un rinnovato rigore da parte nostra. Rigore e crescita non sono in contraddizione tra di loro. Quanto più saremo rigorosi sui conti pubblici, tanto più potremo chiedere e ottenere maggiore flessibilità per gli investimenti strutturali. Il vero problema è che l’Italia da troppi anni non investe su se stessa e non cresce.

L’Italia torni a investire su se stessa

Serve che si ricominci a fare investimenti pubblici e incoraggiare investimenti privati. Dobbiamo fare e in fretta quelle riforme indispensabili per attrarre investimenti anziché farli fuggire. Ci siamo mai chiesti perché i capitali stranieri preferiscono altri a noi? Perché anziché costruire fabbriche e ampliare la base produttiva, si limitano ad acquistare, se va bene, a rilevare marchi di successo? Nonostante l’Italia sia un Paese ricco di imprenditori e ancora con una grande vocazione industriale non siamo competitivi e continuiamo a non realizzare le riforme necessarie per esserlo.

Perché serve ripartire dal Mezzogiorno

Abbiamo scelto di ragionare sulle radici e il futuro dell’Europa a Napoli non per caso. Napoli è una città autenticamente europea. La sua storia millenaria è sempre stata legata strettamente all’Europa, nel segno di una continuità che è anche e soprattutto culturale. Ma Napoli è anche il simbolo di un Mezzogiorno che all’inizio degli anni Duemila aveva iniziato un percorso di avvicinamento agli standard medi europei e che poi è stato costretto e al tempo stesso si è relegato alla più assoluta paralisi, fino al gravissimo ritardo di oggi. Immaginare che solo un pezzo dell’Italia possa diventare europeo senza che tutto il Paese unito partecipi a questo processo non ha alcun senso.