Servizio pubblicato sul Sole 24 Ore del 13 gennaio 2021
Due visioni del mondo, quella della decrescita punitiva e quella dell’economia sostenibile, trovano a Bruxelles un nuovo punto di frizione. Questa volta sono messi in difficoltà gli imballaggi di cartone, le stoviglie usa-e-getta di carta, i piatti di cartoncino e i bicchierini. La direttiva europea che vuole mettere al bando l’odiata plastica ora viene estesa anche ai prodotti biodegradabili. È sufficiente quel velo impermeabile che li rende resistenti ai liquidi per classificare i prodotti di carta come se fossero di plastica. E l’Alleanza europea per gli imballaggi di carta (Eppa) guidata da Antonio D’Amato — già presidente di Confindustria e imprenditore attraverso la Seda di Arzano (Napoli), una delle “piccole multinazionali” che caratterizzano la migliore impresa italiana — cerca di risalire la corrente dei luoghi comuni mostrando che le stoviglie di carta monouso hanno un impatto su clima e ambiente inferiore rispetto a quelle riutilizzabili, siano esse tradizionali o in plastica. I bicchierini di carta e le altre stoviglie biodegradabili usa-e-getta sono usciti dai circuiti della ristorazione veloce, dei treni, degli aeroporti, spinti dalle esigenze d’igiene imposte dall’epidemia virale. Le consegne da asporto cui sono vincolati i ristoranti e i bar hanno dato nuovo slancio ai materiali ad alta igiene perla consegna di cibi e bevande. Ma al punto 2.2.1 della direttiva europea sui prodotti usa-egetta la Commissione ha inserito nella categoria da punire anche quelli biodegradabili, basta che contengano tracce di polimeri.
Eppure, secondo l’Eppa, i prodotti a uso singolo possono essere non solamente garanzia di igiene ma anche una garanzia di tutela ambientale. È il risultato di uno studio della consultancy danese Ramboll commissionato dall’Eppa sui prodotti utilizzati nei servizi di ristorazione veloce. Presi in esame produzione, consumo e riciclo, trasporto, lavaggio sanificante, detersivi, asciugatura con aria calda e così via, emerge che le stoviglie riutilizzabili generano il 177% in più di emissioni di CO2, consumano il 267% in più di acqua e producono 11132%o in più di particolato fine rispetto all’usa-e-getta di carta (materia prima naturale, riciclatissima, riciclabilissima e biodegradabile). Il Ramboll Life Cycle Assessment, controvalutato in modo indipendente dal Tüv tedesco, ha comparato la performance ambientale sul ciclo di vita di bicchieri, tazze, coppe per gelato e posate in carta monouso e stoviglie lavabili, nel contesto di un consumo in loco in ristoranti a servizio rapido, nell’arco di un anno. L’impatto ambientale più significativo, sottolinea lo studio, viene dal consumo di acqua ed energia nelle fasi di lavaggio e asciugatura dei prodotto di ceramica, plastica, metallo o vetro e supera quello del monouso.
«Questo è confermato anche quando vengono applicate le tecnologie di lavaggio più efficienti», ha osservato D’Amato nel presentare il rapporto. «Il monouso è migliore per il clima e non aggrava i problemi di stress idrico, un problema in crescita in molti paesi europei». Restando nel settore dei prodotti biodegradabili usa-e-getta, in seno al consorzio Conai comincia a decollare il neonato consorzio di filiera Biorepack, che raccoglie il segmento delle bioplastiche, mentre la Novamont, ha annunciato l’acquisizione del gruppo norvegese BioBag, che lavora negli imballaggi e nella raccolta separata del rifiuto umido. L’obiettivo di contrastare i consumi dei cittadini colpendo gli imballaggi a basso impatto ambientale che garantiscono l’uso, l’igiene e la durata dei prodotti è un problema in cui si imbattono molti settori. Un mese fa la Filctem Cgil d’intesa con le imprese di Unionplast avevano protestato contro la plastic tax che colpirà non solamente i consumatori ma anche i lavoratori del settore.